L’arte secondo Rachele, La Casa Museo Boschi di Stefano.

di Giambattista Schiaffino

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Rachela Verga, inviata di Freedom Street Radio nel mondo dell’Arte, oggi ci porta in un angolo silenzioso vicino a Corso Buenos Aires a Milano, La casa Museo Boschi Di Stefano, che ospita una delle collezioni più rappresentative del Novecento italiano.

Sala 6, foto di Alberto Lagomaggiore.  Courtesy Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano

Varcare la soglia di questa storica dimora milanese significa immergersi in un ambiente magico, scrigno dei ricordi, delle passioni e della storia d’amore dei defunti proprietari Marieda Di Stefano e Antonio Boschi, che fecero dell’arte la missione della loro vita.

Sala 6, foto di Alberto Lagomaggiore.
Courtesy Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano

I due collezionisti, ritratti insieme nel dipinto di Brindisi, I coniugi Boschi (1951), accolgono chi incuriosito entra nella Casa Museo oggi proprietà della Città di Milano, in cui le tracce del loro vissuto accompagnano il visitatore per le 11 stanze che ospitano più di 300 opere d’arte.

Marieda Di Stefano e Antonio Boschi si sposarono nel 1927. Lui ingegnere della Pirelli e lei ceramista, si avvicinarono insieme al mondo dell’arte e alla pratica del collezionismo

«Quando incontrai Marieda e le affinità che inconsciamente ci univano fecero scattare il più classico dei “coups de foudre”, le mie esperienze nel campo delle arti plastiche erano modeste perché da mio padre ero stato avviato verso la musica attraverso lo studio del violino e ne ero e ne resto tuttora appassionato. […] Marieda invece proveniva da una famiglia marchigiana trapiantatasi a Milano, che conservava nel suo sangue la passione delle Arti Plastiche dell’Italia Centrale. Il padre, scosso dalla prima mostra del Novecento, aveva anzi già iniziato una sua collezione, dalla quale qualche quadro passò poi nella nostra, alla sua morte. II nostro matrimonio fece sviluppare la passione che entrambi portavamo dentro, uno spingendo l’altro a superare le preoccupazioni di un bilancio familiare, che era quello piuttosto modesto di un giovane ingegnere di una grande industria»

Remo Brindisi, I coniugi Boschi, 1951, olio su tela, 130 x 80 cm

Remo Brindisi, I coniugi Boschi, 1951, olio su tela, 130 x 80 cm

Al contrario dei collezionisti tradizionali che acquistavano presso le gallerie d’arte, Antonio e Marieda amavano andare direttamente dagli artisti, sperimentare in prima persona i processi creativi e assistere alla nascita delle opere che avrebbero arricchito la loro collezione.

Collezionisti militanti dall’occhio infallibile, seguivano il loro intuito e supportavano la carriera degli artisti; sceglievano i pezzi, decidevano su chi investire, organizzavano ricevimenti per dar loro visibilità. 

Ogni acquisto era prima di tutto un incontro, ogni opera portava con sé una storia, un’amicizia, un frammento di vita condiviso. Nel salotto della loro dimora erano soliti radunarsi alcuni dei più importanti protagonisti dell’arte italiana del Novecento: Lucio Fontana, Piero Manzoni, Mario Sironi… Queste mura non custodivano solamente tele e sculture: assorbivano parole, intuizioni, sogni. La collezione era un organismo vivo che cresceva e si nutriva del dialogo continuo tra persone e opere d’arte, arrivava a occupare intere pareti, i pavimenti, le porte. Chiodi, scale e martello non venivano mai riposti, ma erano sempre pronti per accogliere gli ultimi acquisti. Il sabato era il giorno in cui i quadri venivano fatti ruotare, in casa c’era profumo di vernice fresca e Marieda cercava il posto migliore in cui appenderli, mentre Antonio cambiava la musica sul grammofono.

L’appartamento era un Wunderkammer, una camera delle meraviglie, espressione della passione e testimonianza della storia dei coniugi, che trasformarono l’intera dimora in un’opera d’arte.

La collezione subì un cambiamento radicale nel 1968, con la scomparsa di Marieda. In suo onore, Antonio decise di donare l’intera raccolta al Comune di Milano, a condizione che la loro dimora venisse preservata nel suo carattere e che l’anima della collezione rimanesse intatta.

Così, dopo la morte di Antonio nel 1988, l’allestimento dell’intero appartamento venne ripensato, rispettando i desideri del proprietario defunto. Le porte si riaprirono per accogliere il pubblico solamente nel 2003, dopo un grande intervento di ristrutturazione, che pur avendo ridotto numero di opere esposte da circa duemila a trecento, ha preservato l’atmosfera originaria e la disposizione a quadreria. Ancora oggi si percepisce e la magia di un luogo denso di ricordi e di storie che vengono raccontate opera dopo opera.

Sala 4, foto di Alberto Lagomaggiore. Courtesy Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano

Ancora oggi si percepisce e la magia di un luogo denso di ricordi e di storie che vengono raccontate opera dopo opera.

Attualmente il percorso espositivo accompagna il visitatore attraverso un viaggio nella storia dell’arte italiana del Novecento. Dai paesaggi di Soffici, Severini, Soldati e Dottori, alle sperimentazioni di Prampolini, Scipione e Boccioni. Il rigore formale del movimento Novecento si manifesta nelle opere di Borra, Carrà, Casorati, Funi, Marussig e Montanari, per poi sfumare in suggestioni più liriche con Martini, Sironi, Campigli, Savinio e De Chirico.

Sala 4, foto di Alberto Lagomaggiore. Courtesy Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano

Non manca una dimensione più politica e di impegno sociale, incarnata dall’immediata adesione dei coniugi al Movimento di corrente, documentato dall’ingresso in collezione dei primi Birolli, Cassinari, Paganin, Migneco, testimoni di un’avanguardia svincolata da regole accademiche, incentrata sulla forza del segno e del colore. Infine, il percorso si conclude con la rivoluzione di Fontana, per le sperimentazioni dei movimenti Nucleare e Arte Informale, fino ad arrivare alle opere di Piero Manzoni.

Sala 10, foto di Alberto Lagomaggiore.
Courtesy Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano.
Sala 10, foto di Alberto Lagomaggiore. Courtesy Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano.

Questa dimora è testimone silenziosa di un’epoca e di una storia d’amore che, attraverso il potere dell’arte, ha saputo trascendere il tempo. Il lascito di Marieda Di Stefano e Antonio Boschi continua a vivere, offrendo la possibilità di riscoprire l’intimità e il fascino dell’arte.

La colonna sonora ideale per visitare la Casa Museo Boschi di Stefano? Rachele consiglia “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. Un classicone italiano che ha fermato il tempo, proprio come le opere d’arte della collezione: senza età, sospese in un’atmosfera senza confini.

– Duplicato per post ID 3124

Rachele Verga interpreta l’Arte per Freedom Street Radio

Laureata in Economia e Gestione dei Beni Culturali e con un Master in Mercati dell’Arte presso la NABA, esplora il connubio tra cultura ed economia scrivendo di arte, mercato e valorizzazione del patrimonio culturale.

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